In un Caffè all’angolo della strada

Era stato il suo profumo a farlo innamorare. Delicato, una scia frizzante, identica a una boccata di respiro dopo la pioggia. Aveva il dono di entrare nelle narici e stendere i nervi; si mescolava all’odore di caffè, sul tavolo di lei.

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Torre civica

torre in fiamme

La torre civica brucia. Mi dici che è stato l’orologio del campanile, un ingranaggio rotto a innescare le fiamme. Vuoi salire. Andare contro la legge ha sempre esercitato su di te un fascino senza freni. Non stacchi lo sguardo dalle tegole. Resti ammaliato dall’alone rossastro che il fuoco getta nella notte, un presagio funesto, di morte. Mi avvinghio al tuo braccio, mentre un brivido serpeggia lungo la spina dorsale.

«Non scherzare. È pericoloso.» Il brivido ha raggiunto la nuca, pugnali di ghiaccio che congelano il cervello, tutta colpa del Daiquiri trangugiato d’un sorso, per non pensare a quello che ho visto nel cassetto.

«Solo un po’ più vicino» insisti. «Fallo per me.»

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Il caffè è donna

Suonerebbe come una provocazione e forse sì, forse una provocazione la è. Non sto sostenendo che caffè sia un sostantivo femminile, sia chiaro, né proponendo un cambio di genere. Se ho scelto questo titolo, è per ripescare una storia che mi hanno raccontato qualche anno fa.

Mi è tornata alla mente ieri mattina, mentre pedalavo in centro storico, alla ricerca di uno spazio libero sulle rastrelliere delle bici. Abito in una località turistica, vista lago, e a partire da marzo arrivano in città orde di villeggianti con un unico obiettivo: occupare tutti i parcheggi della regione.

Con i nervi saltati e in piena astinenza da caffè, ho legato la bici a un lampione e mi sono concessa un espresso al bar. Ed è qui che è scattato il collegamento: su tredici consumatori, dieci – me compresa – erano donne. E su dieci donne, nove – me compresa – bevevano caffè.

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