Pandora – Capitolo 3

Dalia

 

A un certo punto della vita capisci di avere toccato il fondo. Esiste sempre un segnale rivelatore che te ne dia testimonianza certa, e nel mio caso quel segnale è oltremodo patetico: il suono della campanella alla sesta ora, l’unica gioia di questa misera esistenza.

Esco da scuola con in tasca un Tre di greco, un richiamo dalla preside e fin troppe risate da parte di un gruppo di stronzi che mi prendono per i fondelli.

«Ehi, Bianca! Com’è che tu non te la sei messa la vestaglia? Sei davvero trasgressive a rompere le abitudini di famiglia!»

Come se c’entrassi qualcosa con Iris e il suo stupido modo di vestire!

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Pandora – Capitolo 2

Iris

 

Non sono mai stata brava ad adattarmi ai nuovi To nun. Un laccio di nostalgia mi ha sempre tenuta avvinghiata all’Archè e alla mia infanzia a Kerdalea. Ho visitato galassie di ere, ma non ho mai saputo trovare un Adesso superiore al Principio.

Stipata nella stanza di Dalia e Iris, colpevolizzo l’amore per la patria come unico responsabile del mio scarso spirito di adattamento. Noi Hemeis non siamo tutti restii al fascino delle novità. La maggior parte non si imbriglia nelle parole, né si confonde con le domande, quando si desta in un To nun.

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Pandora – Capitolo 1

Iris

 

Non credevo i morti sognassero, ma ora che sono morta e sogno, reputo di averne la prova inconfutabile.

Nel periodo trascorso a Kerdalea, interrogavo spesso Madre Gea sul ciclo della vita. Camminavamo lungo il fiume Idalis, immerse in un affresco di verde, i piedi scalzi, inumiditi dal tumulto della corrente, l’orlo delle vesti impregnato di rugiada.

Negli occhi ho ancora il riverbero del sole. Gettava screziature dorate sull’acqua e io mi inginocchiavo tra i ciottoli muscosi, tagliavo la superficie di cristallo facendo oscillare le dita. Quei pigmenti giallo miele mi parevano sottili collane, bracciali e pendenti con gemme di smeraldo per decoro.

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In un Caffè all’angolo della strada

Era stato il suo profumo a farlo innamorare. Delicato, una scia frizzante, identica a una boccata di respiro dopo la pioggia. Aveva il dono di entrare nelle narici e stendere i nervi; si mescolava all’odore di caffè, sul tavolo di lei.

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Gringot il Corvo

Gli uccelli della cittadina di Dora invidiavano Gringot il Corvo. Viveva in una casetta in via dei Trucioli, dietro l’officina del falegname, e aveva una gabbietta grande quanto un armadio, nella quale non mancavano mai né cibo, né acqua. Anna, la sua padroncina, gli dava tutte le mattine il buongiorno e tutte le sere, prima di rimboccarsi le coperte, la buona notte.

A Gringot però non piaceva la sua vita. Ogni pomeriggio Anna apriva la porticina della voliera e gli permetteva di esplorare la stanza, ma il giovane corvo si chiedeva cosa si provasse a spiegare le ali nel cielo di primavera e a piroettare in mezzo a nubi simili a zucchero filato.

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